“Alla ricerca del tempo perduto”: il Proust di Duccio Camerini al Teatro Basilica

25 Luglio 2024

Più di tremila pagine, sette volumi, malinconia, nostalgia, memoria, ricerca di sé, degli atri e del mondo tra passato e presente, esistenzialismo e verismo: leggere la Recherche di Proust non è un passatempo ma impegno e attenzione, una vera e propria, lunga, particolare, esperienza di vita nella quale l’autore, con la storia di Marcel e famiglia, Albertine, Charles Swann, Odette e le figure che vivono la casa dei Verdurin,  accompagna il lettore in profonde riflessioni su questioni d’ogni genere, dai rapporti famigliari alle relazioni passionali, dalla gelosia all’amore puro, dalla scoperta dell’io attraverso la scoperta dell’Es tra ricordi e vivide percezioni sensoriali alla caduta nell’oblio della ragione, dalla morte all’eternità della letteratura.

Un’opera nata per essere incisa su carta, letta e riletta, sfogliata e risfogliata, gustata con lentezza, silenzi e meditazione; un’opera difficile da poter adattare in tutta la sua interezza speculativa cinematograficamente o teatralmente. Una sfida colta nel 2019 dall’attore e regista Duccio Camerini il quale condensò la narrazione in un unico atto all’Off-Off theatre, intepretando lui stesso tutti i personaggi, e che ora, nel 2024 è tornato a lavorarci portando in scena uno spettacolo ampiamento di quello precedente, monumentale, al Teatro Basilica, splamando in tre episodi, in ordine cronologico, ogni capitolo del romanzo Alla ricerca del tempo perduto, quali Dalla parte di Swann / All’ombra delle fanciulle in fiore; Dalla parte dei Guermantes/ Sodoma e Gomorra; La Prigioniera/Albertine scomparsa/ Il Tempo Ritrovato, dando a ogni personaggio un volto, quello di 38 allievi del corso del Laboratorio di Arti Sceniche di cui lui stesso è insegnante.

In tre atti il regista riporta per intero tutto l’arco narrativo, con annesse sotto-trame, l’infanzia, la giovinezza, la vecchiaia di Marcel, la cui voce narrante onnisciente spiega e chiarisce ogni passaggio della storia.

Quella di Camerini è una proposta che predilige un taglio espositivo di fatti, cronologie e sequenze, asciugando l’opera proustiana dalle iconiche minuziose descrizioni di gesti, ambienti e pensieri, la cui mancanza, in particolar modo di quest’ultimi, da un lato risulta una scelta efficace, rendendo il testo sceneggiatura teatrale, adattabile a una messinscena, dall’altro spogliano il racconto di quella verve esistenzialista e filosofica che rende Proust non solo romanziere, ma poeta, sognatore e visionario; animo saggiabile solo in poche frasi e poche scene legate perlopiù al sentimento della morte, inquietudine tangibile, in cui ognuno può riconoscersi e per questo collante per l’intera platea. Senso di comunità ed energia dilagante nati anche dalle vibrazioni musicali dal vivo di Margherita Fusi, Antonella Franceschini, Samuel Di Clemente e Alessio Mascelloni.

Cimentarsi, rimaneggiando, opere di tale portata non è facile, ogni decisione è epicentro o sbavatura scenica, fedeltà o infedeltà autoriale, l’equilibrio da raggiungere è labile e facile a rompersi, il lavoro registico è frutto di scelte visibilmente dettate da studio e riflessione, che in definitiva hanno reso una giostra ben oliata la circolarità dei 38 attori esordienti; e sebbene l’invisibile ontologico di Proust è rimasto tale, la piecè non solo ha il merito di riaffermare le qualità di regista del Camerini, ma ne risalta l’audacia e la determinazione al miglioramento, grazie alle quali è riuscito, in ogni caso, a regalare al teatro una Recherche rappresentabile su un palco, con cui far avvicinare lo spettatore al “maestro del romanzo moderno”.

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