Reportage da “Narni Città Teatro vol.5” tra sogni sospesi e meravigliose realtà

19 Giugno 2024

“Sogna, ragazzo, sogna
Quando sale il vento nelle vie del cuore
Quando un uomo vive per le sue parole
O non vive più
Sogna, ragazzo, sogna
Non lasciarlo solo contro questo mondo
Non lasciarlo andare, sogna fino in fondo
Fallo pure tu”

Il miglior modo per realizzare i tuoi sogni è svegliarti, scriveva Paul Valery. Questo aforisma oggi si può benissimo modificare e adattare in “Il miglior modo per realizzare i tuoi sogni è svegliarti e vivere pienamente “Narni Città Teatro vol.5” che si è tenuto nel caratteristico borgo dal 14 al 16 giugno, all’insegna del claim “Sogni sospesi”.

Proprio il sogno, inteso in tutte le sue declinazioni artistiche è stato il fil rouge della quinta edizione del festival diretto da Davide Sacco e Francesco Montanari con la direzione organizzativa di Ilaria Ceci. Narni con i suoi scorci, le sue location suggestive, i suoi chiostri e palazzi, è diventato lo scenario ideale in cui dare corpo, vita, forma a sogni di ogni tipo, una cittadella dove tutto per tre giorni è diventato possibile. Piazze colorate da funamboli e giocolieri, strade invase da dinosauri, vicoli tempestati di sculture di ghiaccio, pianoforti “volanti”, note in diffusione, “nuvole” candide di artisti che sorprendevano i passanti con temporali di gioia e vitalità, danzatori  festosi, una enorme radio in diretta e poi spettacoli e reading andati in scena in ogni angolo del paese, dal meraviglioso Teatro Manini, alla caratteristica Ala Diruta, al Chiostro di Sant’Agostino, Piazza dei Priori, ma anche scuole, atrii, cortili. E su tutto aleggiavano i sogni, sospesi sul cielo delle nostre menti, sogni più che mai necessari, vitali, in un momento storico sociale in cui è necessario riscoprire la bellezza della speranza, l’ardore del coraggio, e anche la sofferenza vitale della crisi.

In tal senso, momento fulcro della rassegna è stata la “lezione” all’alba tenuta dal Professore Roberto Vecchioni. L’autore della celebre “Sogna, ragazzo, sogna”, manifesto cantautoriale del “sogno”, ha regalato al folto pubblico una delle più toccanti, veritiere e preziose dissertazioni sul “sognare” a partire dai modelli classici, fino a oggi, spaziando sulla lingua, la  politica, la filologia. Tutta la sua esperienza di uomo, artista, intellettuale dotato di un grande cuore e una infinita visione, ha intessuto un “sogno” ad occhi aperti, al sorgere del sole. Ci ha insegnato che spesso vogliamo a tutti i costi ottenere qualcosa senza sapere che in realtà ce l’abbiamo a due passi, che i sogni ci aiutano  a capire chi siamo , a tirar fuori quell’essenza che abbiamo dentro, proprio come fa Odisseo in viaggio alla continua ricerca di qualcosa, inseguendo il sogno di conoscere se stesso. La prima parola che ha identificato e definito il sogno è stata “swap”, la cui radice vuol dire vapore. Il sogno è vapore, è nuvola, è inconsistente, leggero, è l’altra vita, è l’altro essere. Pascoli definì il sogno come l’infinita ombra del vero, in quanto il sogno galoppa intorno alla verità e ci fornisce la forza di cambiarla. Viviamo in un’epoca in cui i sogni cadono, in cui siamo afflitti dalla stanchezza della speranza, eppure i sogni si possono spiegare  solo dando l’esempio e con le parole dei poeti. Strettamente connesso al sogno è il desiderio che deriva dal latino de sidera, ossia stella che cade, e vuol dire mancanza. Tutti noi sentiamo la mancanza di qualcosa, sempre, e la vita implica una continua voglia di sapere altro. La vita è come una nave piena di gente, chi scende sa tutto della barca, chi sale non sa nulla, e in questo porto quelli di prima devono insegnare a chi arriva. La storia dell’umanità si divide in idealismo e realismo, entrambi sono necessari, e il sogno non va mai abbandonato, poiché, in ogni caso è una rivincita. Gli uomini sono nati da un capriccio di Dio, gli ha dato un sogno. L’arte e la scienza sono due strumenti dai quali imparare il bello e il brutto.  Il Professor Vecchioni ci ha incitato a  sognare i piccoli sogni nostri, non in grande. Il sogno è una piccola goccia, siamo esseri liberi, in continua tensione e i sogni ci danno dolore, fatica, ma anche gioia. Sognare ci da la forza di sopportare la sofferenza e la felicità, la quale si impara soffrendo. Alleato della sofferenza è il sogno di rivincita ed è necessario non sognare mai da soli, ma condividere i propri sogni. Il sogno è connesso alla speranza e questo mondo ha bisogno di una speranzosa melodia. Le parole di Roberto Vecchioni restano indelebili e segnano forse la vetta più alta dei sogni di questa edizione del festival, che ha emozionato anche con altre tipologie di sogno come quelle rappresentate dal PINOCCHIO di Davide Iodice, che a partire dalla favola del celebre burattino porta sul palco alcuni allievi del Conservatorio Popolare insieme ai loro genitori. Ragazzi con sindrome di Down, di Asperger, di Williams compongono una compagnia estremamente potente, in grado di scuotere l’anima fino alle viscere, di farci riflettere sulla diversità, di quanto questa attraverso il teatro possa diventare potente bellezza. Un esempio altissimo di teatro sociale, un vero capolavoro, il più riuscito probabilmente dell’ultimo decennio, grazie all’infaticabile e sensibilissimo lavoro di Iodice che ha spostato l’attenzione anche alle famiglie di quei “diversi”, a coloro che giorno dopo giorno, nella quotidianità, devono accudirli, sostenerli, supportarli, tra paure, sconforto, fatica e immenso amore. Davide Iodice porta in scena i sogni dei diversi,  di questi “Pinocchio” dirompenti, che si discostano dal concetto borghese di Persona convenzionale, per rivelare quello di Persone autentiche che sentono il peso di diagnosi e del disamore quotidiano. Ogni persona è un problema irrisolvibile che indaga sentimenti come l’amore, il dolore, il male, la morte, la felicità e che si interroga su cosa ci sia dopo. Tormenti irrimediabilmente cupi che si fanno intensamente gioiosi e si relazionano con gli adulti, con quei personaggi fiabeschi che sembrano volerli ricondurre alla dura realtà . Ogni Pinocchio porta la sua croce sulle spalle, ma può incontrare la sua Fata Turchina che lo illumina di speranza e gli permette di sognare dandogli dignità e identità. Una favola ad occhi aperti che testimonia la necessità e la preziosità del teatro per affrontare patologie di questo tipo e per dare a queste persone una identità integra, un posto nel mondo e nei nostri cuori.

Un altro artista che ha indagato i sogni di persone “diverse” è Tindaro Granata che ha incantato il Chiostro di Sant’Agostino con il suo ultimo lavoro VORREI UNA VOCE, ispirato al percorso teatrale che l’artista ha realizzato all’interno della Casa Circondariale di Messina  con la sezione femminile di alta sicurezza, denominato, appunto, Il Teatro per Sognare.  Il Sogno è il fulcro della sua drammaturgia, poiché perdere la capacità di sognare vuol dire morire e chi vive in carcere, spesso, oltre a perdere la libertà, perde anche la capacità di sognare. Tindaro Granata ha così deciso di seguire un istinto, una voce, e con le canzoni della celebre Mina, che afferiscono alla memoria collettiva di tutti noi, ha fatto in modo di restituire ad ogni donna rinchiusa lì, in questo luogo molto particolare, la capacità di sognare, di guardarsi dentro e alle spalle, riportando in luce sofferenze, vecchi dolori, atroci traumi che  hanno definito il loro presente. Granata canta in Playback le canzoni di Mina, le quali ricreano un mondo dove tutto è possibile e così lui vestendo a turno i panni delle donne detenute con le quali ha lavorato, ci offre il loro percorso di ritorno al sogno. Si raccontano attraverso un’opera d’arte, e in questo caso di una canzone, che gli consente di accedere in un mondo dove tutto può succedere e in cui essere felice anche solo potendosi truccare, indossare un tacco 12 cm o un abito di paillettes. Scopriamo così donne che celano dietro l’aggressività, la diffidenza, la rabbia, un grande dolore, sensi di colpa nei confronti di padri. Sono donne tradite dai mariti, abbandonate dagli eroi, vittime di amori sbagliati. Anime fragili con cui Tindaro Granata ha avuto la capacità di empatizzare, di farle sue, alternando, infatti, testimonianze intime e delicate della sua vita personale, creando un connubio impeccabile, toccante, che cristallizza l’atmosfera e rapisce grazie anche ai capolavori di Mina, ai suoi classici, che fanno da cassa di risonanza del caleidoscopio di sensazioni e vicende sulle quali l’attore e regista ha lavorato, trasformando queste donne ormai private di dignità, in regine per una sera, protagoniste della loro drammatica storia tramite una canzone. Un progetto totalmente riuscito, che rivela quanto Tindaro Granata sia uno degli artisti della scena teatrale italiana più interessanti, in grado di comporre e creare senza orpelli o sovrastrutture, andando all’essenza o meglio all’anima delle storie e dei sentimenti. Un vero e proprio gioiello registico, drammaturgico e interpretativo. Una voce del silenzio che a il volto delle cose perdute, un sogno all’interno del teatro, che restituisce luce, libertà, vita. Le sofferenze e i dolori che spesso le donne si trovano a dover affrontare nella loro vita si riscontrano anche dell’onirico spettacolo ORATORIO PER EVA  di Roberto Zappalà. Qui la musica lascia il posto allo strumento della danza che tramite il corpo e le ipnotiche coreografie racconta la figura di Eva, la prima donna, e il suo percorso di nascita-rinascita con dolori, consapevolezze, bellezza e affermazione di se. Le movenze reiterate e sinuose celebrano un nuovo parto, la nascita di una nuova donna, una donna di oggi, che non si trova più nel giardino dell’Eden, ma nel caos dell’umanità contemporanea, vittima di violenze, soprusi. E’ la genesi di una nuova donna che si sente un esperimento privo di senso. Un corpo in movimento, che con una danza dolce, spigolosa, talvolta violenta, perturbante, svela smarrimenti e paure di ogni donna contemporanea che si trova a destreggiarsi tra le definizioni di quei corpi in transito che la vedono madre, moglie, tentatrice, ammaliatrice, pericolo costante.

Fresco, gioioso, vitale pop è invece il SOGNO scritto da Aleksandros Memetaj ( che si riconferma come un giovane promettente autore, mostrando anche la sua abilità di performer) con la regia e le coreografie di Loredana Perrella. Promo studio di uno spettacolo liberamente tratto dal capolavoro shakespeariano “Sogno di una notte di mezza estate”, che fonde insieme commedia, romanticismo, mito, letteratura classica, folklore , equivoci, ai quali si aggiungono in questo caso coinvolgenti coreografie che amalgamano la folta rete di personaggi, andando a decodificare e svelare la natura dei loro rapporti. Sogno e visione si compenetrano vicendevolmente, così come il concetto di amore e sogno, che sono facce della stessa medaglia, che modellano e talvolta modificano la realtà, alterando ciò che abbiamo dentro. Un’onda di energia, spensieratezza e ottimismo che ha travolto il pubblico e lo ha condotto in una dimensione quasi surreale, un po’ come “R.E.M. Sogni sospesi”, non un vero spettacolo, ma un percorso-performance itinerante, nei meandri dell’ASP Santa Lucia dove Velentina Dalsigre Cirillo, Claudia Grassi, Jacopo Riccardi e Agata Sala in un alternativo ospedale psichiatrico ci hanno condotto nelle stanze delle cause delle nostre infelicità, disturbi, perversioni, proponendo rimedi , cure e trattamenti che hanno la capacità di annullare ogni tipo di ansia e di rendere normale ogni tipo di stranezza. Un sogno esperienziale, riflessivo e divertente.

Numerosi sono stati poi i reading, le letture di grandi interpreti che, attraverso determinati testi di importanti autori, ci hanno permesso di guardare il sogno da altre prospettive. Ha inaugurato questo filone Vinicio Marchioni che nella cornice della Sala Consiliare ci ha offerto un ESTRATTO DI ILLUSIONI dell’autore russo Ivan Vyrypaev. Due coppie, quattro storie d’amore che durano una vita, tra verità e menzogna. Un’indagine sull’amore che è responsabilità, è essere grati, prendersi cura degli altri, è l’unico sentimento che può salvare dall’egoismo e dalla morte.Dichiarazioni ad un capezzale, che rivelano che l’unico amore che esiste è quello corrisposto e che l’amore vero vive in eterno. Ma è una verità o una bugia? In questo gioco delle coppie nulla sembra com’è, non si riesce più a  discernere il vero dal falso, cosa è accaduto davvero e cosa no, in una partitura che la voce coinvolgente di Marchioni rende sempre più avvincente, mettendo in evidenza ed esaltando l’estrema, cinica, ironia. Colpi di scena si susseguono, mutevoli come l’animo umano, sorprendendo il pubblico, dividendolo tra razionalità e sentimento, alla ricerca dell’unico sentimento che da sempre sogniamo: l’amore.

In bilico tra amore, morte e vita si muove “Amen”, spettacolo tratto dal romanzo di Massimo Recalcati, diretto dalla mano esperta di Valter Malosti che lo affida a tre straordinari attori Federica Fracassi, Marco Foschi e Danilo Nigrelli, accompagnati delle sonorità oniriche di Gup Alcaro e dal compositore e chitarrista Paolo Spaccamonti. Una preghiera laica che avvolge e ci fa riflettere sulla vita che porta in se la morte, inevitabile. Costantemente in bilico tra vita e morte, battesimo ed estrema unzione, si snoda il pensiero toccante di una madre che spera e si affida al battito del cuore del proprio figlio nato prematuro, un figlio che si lascia andare ai ricordi di una vita e un vecchio soldato sopravvissuto alla guerra, trasportando passo dopo passo il suo cuore nella neve. La morte è dappertutto, la fine incombe costantemente, ma la vita non vuole morire e resiste battito dopo battito.

La vita, dunque, è un viaggio come ci insegna Francesco Montanari nel suo reading IL VIAGGIO DELL’EROE, i cui ci illustra ,con esempi tratti dalla cinematografia e dalla letteratura,  la teoria dello studioso Joseph Campbell che ritiene che tutte le storie, le trame, le vicende, seguano uno stesso schema che si ripete. Sono 12 regole che tutte le storie, a partire dal mito, rispettano. Ogni eroe compie un viaggio, fuori e dentro di se, seguendo dei modelli ben precisi. L’eroe è presentato nel mondo ordinario e sente l’esigenza di esplorare il mondo ignoto, però ad un certo punto rifiuta questa chiamata finché non compare un mentore che lo sprona a superare le paure e la prima soglia, e a intraprendere una serie di prove che lo porteranno a tornare al luogo di partenza con una nuova conoscenza e consapevolezza. L’eroe è il protagonista di qualsiasi film, di qualsiasi dramma, di qualsiasi storia a partire dai miti che rappresentano i sogni collettivi dell’umanità. L’eroe è dunque l’archetipo che attraverso queste tappe, tramite difficoltà, nemici, alleati, nuove cognizioni  arriva a essere pienamente se stesso a raggiungere la sua meta. Un percorso di iniziazione che Francesco Montanari snoda con la sua abilità di narratore, avvincendo il pubblico, chiamandolo in causa, accompagnato dalla colonna sonora live di Luca Mecarelli. Cita la Poetica di Aristotele, Lucas, Spielberg, Freud, Jung rivelandoci quei meccanismi che si celano dietro ogni sogno narrativo.

Un viaggio iniziatico è stato anche quello affrontato da Gemitaiz, il rapper romano della Serpentara (Roma),  che ha realizzato il suo sogno grazie alla passione per la musica e la scrittura che lo hanno salvato, facendolo diventare l’artista di successo che è adesso. Intervistato dal suo amico Francesco Montanari, in una Piazza dei Priori gremita di giovanissimi per i quali il cantante è un vero e proprio eroe, un idolo che con i suoi testi e le sue canzoni li aiuta nel loro complesso percorso di crescita. Ed è proprio a loro che si rivolge maggiormente incitandoli a seguire le proprie passioni e inclinazioni, e a circondarsi di amici sani, spalle sulle quali poter sempre contare. Un artista che si lascia ispirare dalla vita quotidiana e che usa la musica come strumento di comunicazione. Un ragazzo che ha conosciuto la solitudine, il dolore ed è riuscito a trovare la sua luce, la sua rivincita.

Tra spettacoli, incontri, epifanie, suggestioni, sorprese, Narni Città Teatro si è rivelato ancora una volta come uno dei festival più interessanti della penisola, una rassegna in grado di coinvolgere l’intera comunità,  di invadere ogni luogo con l’arte, di rendere possibile l’impossibile. Un modello al quale rifarsi e da esportare anche altrove, perché c’è bisogno di più sogni sospesi, che a Narni diventano sempre realtà.

Sogna, ragazzo, sogna
Quando cade il vento, ma non è finita
Quando muore un uomo per la stessa vita
Che sognavi tu
Sogna, ragazzo, sogna
Non cambiare un verso della tua canzone
Non lasciare un treno fermo alla stazione
Non fermarti tu

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