“It’S A DREAMWORLD”: l’intervista a Paupini

11 Ottobre 2023

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Gabriele Paupini, fondatore e co-fondatore trentacinquenne del collettivo artistico transdisciplinare Kollectif Hors Zone di Montpellier. Il vincitore di Vivo d’arte 2023 (il premio per le discipline del teatro, della musica e della danza contemporanee, riservato a giovani artisti di nazionalità italiana residenti stabilmente all’estero e promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) porterà in scena, nell’ambito di REF ( Romaeuropa Festival), il 15 ottobre alle 18 presso il Mattatoio di RomaIt’S A DREAMWORD”, uno spettacolo generato da una scrittura collettiva che ha visto partecipare diverse discipline e paesi con l’obiettivo di confrontarsi con la città ideale. Le azioni e le parole dei performer si amalgamano per creare un ritratto di alcune metropoli europee: Roma, Barcellona e Parigi. Lo show parte dal presupposto che necessitiamo di riappropriarci dell’utopia per immaginare un domani migliore. Dal momento che siamo a metà tra la prima generazione ad aver avuto accesso fin da giovanissimi al web 2.0 e quella successiva, nata “nel” web 2.0, questa riflessione si svilupperà attorno e insieme alla coscienza di vivere un’era digitale. Per questa ragione, la quarta “metropoli” attorno cui gira il progetto è il Metaverso.

Di seguito, l’intervista a Gabriele Paupini.

Con “It’S A DREAMWORD” sogni un mondo utopico rappresentato dal Metaverso. Sei pessimista invece sulle metropoli o pensi che ci siano anche lì delle soluzioni?

Non so se ci sono delle soluzioni. L’idea di questo spettacolo non era cercare delle soluzioni, quanto porsi delle domande. Chiedersi perché viviamo così e se ci piace questo mondo in cui viviamo.

Pensi che ci siano delle metropoli più pronte ad accogliere determinate innovazioni tecnologiche?

Questo non lo so, nel senso che le metropoli cercano sempre di essere all’avanguardia e in prima linea rispetto a tutti i tipi di innovazioni. Sicuramente poi sono luoghi che ci attirano perché c’è questa ricerca di essere sempre pionieri nel progresso. Se poi queste metropoli rispondessero al progresso tecnologico non saprei dire.

Negli ultimi tempi si sta discutendo molto dell’intelligenza artificiale. Pensi che possa essere una soluzione o un ostacolo per questo mondo utopico?

Mi sembra che l’intelligenza artificiale, come moltissime cose che l’uomo ha creato, potrebbe essere utile per un sacco di cose, poi il problema è sempre il modo in cui la utilizziamo. È chiaro che l’intelligenza artificiale non può sostituire un lavoro umano. Non lo può fare perché rimane un’elaborazione di dati e, per quanto questi dati possano essere specifici e per quanto possano essere in una quantità industriale, l’intelligenza artificiale non ha immaginazione, quindi, non può creare niente di nuovo da quello che le si dà.

Quale futuro vedi per i social?

Mi sembra che i social siano sempre di più un riflesso distorto di quella che è la realtà, nonché una versione inventata di persone che non esistono. Il problema, perciò, è sovrapporre la propria realtà con il social e pensare che si equivalgano. Non è così, il social ha un impatto sul mondo reale pur non essendone una copia, ma anzi si trasforma sempre di più in mondo autonomo e potrebbe continuare a vivere anche senza di noi. Facebook è ormai uno dei cimiteri virtuali più grandi del mondo ma continua ad andare avanti anche se la persona dietro è deceduta.

Pensi che sia soltanto un’utopia il dreamworld o magari in futuro diventerà realtà?

Io penso che noi viviamo già nel Metaverso. Quando ho scritto questo progetto l’idea era di chiedersi a che punto siamo nel mondo che mescola la realtà e la realtà virtuale, e a che punto questa cosa poi si riversa su di noi. Non era tanto l’idea di immaginare il Metaverso come questo dreamworld che vivremo, noi lo stiamo già vivendo. Ognuno di noi ha diverse vite digitali, il limite tecnologico è che non è possibile viverlo in maniera totalmente immersiva. Lo stesso Zuckerberg non sa come dare corpo a questa cosa, è questo il problema. Noi siamo fatti di mente e di corpo e l’uno senza l’altro non vive. Non so quindi cosa ci riserva il dreamworld in questo senso.

Gabriele Paupini © Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Effettivamente lo stiamo già vivendo o comunque ci stiamo entrando sempre di più

Il punto è che ci sono generazioni dopo la mia che ci nascono già dentro e in questo “Matrix” ci aveva visto lungo. Ci sono persone oggi che non hanno idea di cosa voglia dire non avere internet, ma internet è un insieme di mondi alternativi visto che è la realtà in cui viviamo. “Second Life”, che era un videogioco per realtà di vite alternative, esiste già da vent’anni. Per me la questione è economica, internet incredibilmente nasce al di fuori della concezione capitalistica. Internet nasce grazie a un accordo globale di scambi di informazioni su una rete globale, mentre il Metaverso nasce come necessità di costruire un luogo terreno per investire denaro. In questo senso è molto meno potente ed è riservato solo a un’élite. Perciò, la scelta di creare il Metaverso è un bisogno indotto dal mercato. In questo senso ho preso il concetto di Metaverso in maniera più universale piuttosto che come idea di Zuckerberg.

Tu in passato hai vissuto in diverse metropoli che, per quanto possano essere occidentali, hanno comunque culture diverse l’una dall’altra. Ha influito la tua esperienza passata nell’idea che ti sei fatto del Metaverso?

Assolutamente, moltissimo. Io vivo tutt’ora in Francia anche se adesso in una città più piccola, però ho vissuto per dieci anni a Roma, ho vissuto per un anno a Parigi, ho passato parecchio tempo a Marsiglia, Barcellona e ho avuto molte esperienze in diverse grandi città. Ovviamente essendo città europee si assomigliano, però poi ognuna viene da una cultura diversa e ha le sue peculiarità; perciò, sicuramente l’esperienza che ho avuto mi ha sicuramente spinto in questa direzione. Allo stesso tempo ho fatto un lavoro di ricerca con l’associazione Tinaos e il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia con il bando Futuro Passato, che è un bando dei drammaturghi sulla memoria e abbiamo lavorato proprio sul Metaverso. Tra l’altro verrà pubblicato a dicembre un testo che ho scritto su questo progetto che parla proprio del rapporto che abbiamo con la morte nel momento in cui c’è questa idea del Metaverso, perché di fatto attraverso l’intelligenza artificiale le persone che muoiono possono continuare a vivere. In qualche modo tutte queste cose hanno portato all’idea di “It’S A DREAMWORD”, inoltre è un po’ un tema principale per me il rapporto tra l’individuo e la metropoli. Il primo testo che ho scritto, che si chiama “Blue Hours”, parla proprio del rapporto dell’individuo con Roma ed è un testo che ho scritto quattro anni fa quando ho lasciato Roma. Essendo questo un progetto di scrittura collettiva, i performer in scena hanno scritto insieme a me i testi e io poi ho gestito la drammaturgia totale. In realtà anche i tecnici che lavoravano a questi progetti hanno scritto dei testi che sono nello spettacolo. Il materiale testuale viene da almeno sette persone diverse, io poi ho fatto un lavoro di coordinazione e di drammaturgia con l’idea non solo di concentrarmi anche su altre città europee visto che mi ero focalizzato solo su Roma, ma anche di lavorare con artisti che stimo. Difatti, ho messo insieme una compagnia di persone di provenienze diverse che conosco da anni e che ammiro molto. Lo spettacolo che andrà in scena mischierà il linguaggio teatrale e il linguaggio performativo perché da diversi anni mi sono cominciato a interessare alla performance e parallelamente scrivo, quindi poi cerco di mischiare il linguaggio teatrale e il linguaggio performativo sulla scena. 

Ti senti più attore o regista?

Per me sono due definizioni molto difficili e il mio percorso poi non è stato proprio lineare perché ho fatto una scuola come attore per poi lavorare e studiare come regista. Poi ho frequentato una scuola di creazione nello spettacolo dal vivo che prendeva un po’ tutti i campi, era proprio tra la regia e la recitazione. Questo che andrà in scena è il primo di cui firmo la regia da quattro anni a questa parte perché nel frattempo c’è stato il Covid, però da un paio d’anni in Francia ho cominciato a recitare molto, cosa che invece avevo completamente lasciato. Però oggi, forse, più che attore mi definirei performer perché è quello che faccio di più ed è quello che mi piace ed interessa di più, anche più del teatro nel senso classico del termine. Poi ultimamente si è inserita anche la scrittura, quindi mi definirei un attore, autore e regista oggi.

Avatar photo

Jacky Debach

Isac Jacky Debach nasce a Roma il 30 gennaio 1994. Ha conseguito la laurea triennale in Comunicazione pubblica e d'impresa presso La Sapienza, la laurea magistrale in Cinema, televisione e produzione multimediale presso l'Università degli Studi Roma Tre (DAMS) e il diploma di Master in Critica giornalistica presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico". Ha lavorato come redattore per Cosanepensate.it, come account commerciale per la ME Production SRL e ha collaborato con Madmass.it, Metropolitan Magazine.it e Recensito. Attualmente gestisce la pagina social Cinefusi.it e lavora come social media manager. Amante del cinema, della musica, della serialità televisiva e del calcio.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere

“L’ombelico dei limbi”: dialogo con Stefania Tansini

Nuovi linguaggi, esplorazione e novità: dal 17 al 21 ottobre,…