Gli addominali, la colonna vertebrale, i piedi e le spalle. Le parole, la voce, il racconto e la musica. L’arte orale e i numeri di magia, oltre che quelli di illusionismo.
Lo spettacolo “L’uomo Calamita” in scena all’Auditorium Parco della Musica di Roma gli scorsi 7 e 8 gennaio, scritto e diretto da Giacomo Costantini, interpretato da 3 figure legate tra loro in una dimensione energetica che trascende le specializzazioni e i compiti assegnati e da assolvere – lo stesso Giacomo Costantini nel ruolo dell’Uomo Calamita del titolo, Wu Ming 2 in quello del Caronte al microfono e Fabrizio “Cirro” Baioni quale autore ed esecutore delle sonorità potenti che avvolgono la performance proposta – è la dimostrazione pratica e concreta che i linguaggi artistici possono sopravvivere all’arido inquadramento commerciale che abita spesso le nostre menti e che questi stessi sono in grado di dialogare con incredibile successo e delicata soddisfazione.
Il Circo “El Grito” di cui Costantini è cofondatore e la Wu Ming Foundation entrano in questo caso in contatto per proporre le vicende di un circense straordinario la cui capacità principale è, come facilmente si può intuire, quella di mantenere incollati al corpo degli oggetti di metallo, anche se tale caratteristica, alla fine, risulterà sostanzialmente marginale nell’economia dello spettacolo.
Nel novembre del 1940, in piena Seconda guerra mondiale, i tedeschi presenti nel nostro paese decidono che il tempo delle attività circensi “ha da finire” e per questo obbligano alla chiusura i tendoni sotto i quali gli artisti della pista esercitano e mostrano i loro talenti. E sarà questa scelta a fare, contemporaneamente, da contorno e sfondo al peregrinare dell’uomo dotato e di tutta la popolazione – evocata nelle parole del nostro traghettatore di cui sopra – dell’appennino tosco emiliano nella quale la storia è fatta soffusamente adagiare.
“L’uomo Calamita” è il racconto della straordinaria resistenza di cui sono pieni i libri di storia del nostro Paese ed è il mostrarsi, attraverso delle eccezionali qualità fisiche e mentali, di un performer che si esibisce in numeri sempre più pericolosi in una sorta di metafora costante della caducità di corpi che devono difendersi da pallottole nemiche, invasioni straniere che mirano all’estirpamento dell’identità dei luoghi occupati e da un’ondata di crudeltà che ciclicamente conduce ad un conflitto piuttosto che ad un altro.
Lo spettacolo “L’uomo Calamita” è il mix – a volte poco fluido, ma comunque organicamente sufficiente – di battiti di cuori sì differenti, ma in possesso di una generosità dalla pasta comune.
“L’uomo Calamita” è l’esaltazione, tramite contaminazione, della narrativa e del tentativo di recitarla, del corpo che sottoposto alla disciplina e alla tecnica del Circo si fa, ancora una volta e contro l’oblio delle nostre abitudini, oggetto di sconfinata meraviglia e, infine, delle onde sonore che si trasformano ritmo, rabbia, urlo di dolore, paura e speranza, accompagnando ed esaltando il susseguirsi degli eventi.
I macchinari sui quali Giacomo Costantini opera e dentro i quali, concludendo la performance, novello Houdini, si cala sono opera intellettuale e materiale di Simone Alessandrini.