Tosca, opera romana per eccellenza, completa il dittico commemorativo ideato dal team di Francesco Micheli per la stagione estiva delle Terme di Caracalla in onore di Puccini di cui ricorre il centenario della morte.
Si tratta di una composizione molto diversa rispetto alla recensita Turandot, a partire dall’impianto drammaturgico, oltre che nei principi compositivi. Nella prima, il clima fiabesco attraversa tutta la vicenda, senza che la verosimiglianza limiti la statura dei personaggi o degli accadimenti. Con Tosca invece si traduce sulla scena lirica il dramma storico-borghese di Sardou che ha legami imprescindibili con la Storia e con i fatti realmente accaduti: gli eventi privati infatti si legano, anche se in via indiretta, a Napoleone e ai moti rivoluzionari nati a seguito della Rivoluzione francese.
Eppure le due opere condividono lo stesso impianto scenografico e la stessa idea di allestimento, nonché lo stesso cast creativo. Tuttavia le diversità peculiari individuate hanno un peso specifico non indifferente in rapporto allo spazio scenico che Massimiliano e Doriana Fuksas hanno materializzato sul palco.
Se Turandot trae vantaggio dalla spazialità neutrale ed extradimensionale, Tosca al contrario ne soffre. La neutralità sembra proiettare la vicenda in una dimensione extra storica, più simbolica e ieratica di quanto, di fatto, lo siano il libretto e l’azione. Una dimensione che la direzione musicale enfatizza, allargando e rallentando gli apici emozionali della partitura. Questo processo combinato, che pure ha qualche momento di ottimo equilibrio, sottrae passionalità e slancio alla vicenda di Floria Tosca.
Il “bianco” che in Turandot rappresenta la potenzialità dello schermo individuale si trasforma in questo caso in un immenso telone cinematografico, forse in tal senso simbolo di un passaggio dalla dimensione solitaria a quella sociale, condivisa e, dunque, politica (ma sarà un volo pindarico?!). Su di esso si innestano le luci geometriche di Alessandro Carletti che definiscono il luogo e inseguono – a volte letteralmente – i protagonisti, ma spiccano ancor più i video di Luca Scarzella, Michele Innocente e Matteo Castiglioni che “linkano” ad altro, ossia citazioni latine del luogo o dell’azione o, infine, veri e propri parallelismi cinematografici che rimandano alla storia di Tosca attraverso la figura iconica di Anna Magnani.
La sequenza del camion di “Roma città aperta” è il video più noto e quello di presa più immediata sul pubblico, ma la citazione non si esaurisce qui. Anna Magnani, infatti, ha vestito i panni di una “Tosca della Resistenza” nel film “Avanti a lui tremava tutta Roma” del 1946 diretto da Carmine Gallone: pellicola proiettata all’interno del Festival estivo a completare, almeno idealmente, la commemorazione pucciniana e dando al pubblico l’opportunità di conoscere piccoli capolavori oggi dimenticati.
Eppure il cinema – complice una Roma che sembra nascere dagli stessi scenari di Cinecittà – persiste nella idea di Micheli e, probabilmente, anche in quella di Alberto Mattioli che ha lavorato alla drammaturgia: Luigi Magni è dichiaratamente citato nel primo atto quando il popolo romano entra per il Te Deum. Abiti e atteggiamenti che si ritrovano, pressoché identici, nella sua “Tosca”, protagonista una magnifica Monica Vitti affiancata da due eccezionali colleghi: Gigi Proietti nei panni di Cavaradossi e Vittorio Gassman in quelli di Scarpia.
Non da ultimo la filmografia sembra farsi largo in questo allestimento anche attraverso la figura e l’atteggiamento di uno degli interpreti principali, come per osmosi, probabilmente. Osmosi involontaria di talenti e di sensibilità artistica, può darsi. Si tratta dello Scarpia di Roberto Frontali che ricorda eccezionalmente, non solo nell’atteggiamento fisico, nei gesti, nei modi, nell’andatura, ma persino nel fraseggio musicale, l’ipertalentuoso Toni Servillo de “La grande bellezza”.
Splendidi, poi, i costumi di Giada Masi, più nel primo atto che negli altri, dove i toni cromatici e l’elemento decorativo vanno via via spegnendosi verso il buio e la semplice linea neorealista. L’apice espressivo – se così si può definire – è raggiunto, per le masse, durante il Te Deum in cui il contrasto fra il grigio del popolo e il bianco e rosso degli abiti clericali – un rosso intenso, color sangue di Cristo o delle innumerevoli vittime della reazione papalina ai tentativi di rivoluzionari – è enfatizzato dai movimenti coreografici di Mattia Agatiello.
Mentre uno dei momenti più suggestivi, nel complesso, è la sovrapposizione di Tosca e della figura della Madonna nel primo atto. La protagonista dovrebbe avvicinarsi all’altare della Madonna per deporvi dei fiori, ma nell’idea registica di Micheli le due figure sembrano sovrapporsi, rendendo impossibile questo gesto significativo del carattere del personaggio. Tuttavia, attorno alla diva si crea un cerchio di luce che riconduce all’idea di “Maria-Rosa mistica” indicato dai video e l’abito di Tosca acquisisce le sembianze di un abito religioso-cerimoniale. Questa idea resta, probabilmente, la più efficace di tutto l’impianto registico. Speculare a quella suggerita in Turandot fra la giovane hikikomori e la principessa di gelo. Ma in Turandot essa diviene la lente dello spettacolo, mentre qui resta una delle suggestioni, forse la più spettacolare.
Azzerato, dunque, ogni elemento scenico-funzionale – diremmo tradizionale – dal set, eccezion fatta per alcune sedie o delle posate, gli interpreti sono costretti a immaginare (e far visualizzare al pubblico) le porte, le finestre e persino il ritratto della Maddalena che di solito è l’elemento scenografico più importante del primo atto: una attitudine difficile da far passare in uno spettacolo lirico dove a prevalere è sempre l’attenzione musicale su quella scenica.
Complica la situazione la presenza in palco dei protagonisti quando, da libretto, dovrebbero essere fuori dalla vista del pubblico. Questo spezza l’equilibrio drammaturgico ideato da Sardou e recuperato nel libretto pucciniano e crea slittamenti di concetto fra parola, azione e musica.
Sul fronte orchestrale si nota la tendenza della direzione di Antonino Fogliani quasi ad ammorbidire l’enfasi pucciniana, allentando le dinamiche in maniera a tratti incisiva, soprattutto a fronte della mancanza di un moto contrario, che tenda, cioè, a “recuperare” l’abbandono lirico in favore di una fiammata eroica o sensuale. Questa interpretazione snatura in particolare l’ingresso di Tosca, ma seguita a frenare il pathos emotivo e carnale, nel bene o nel male, in tutto il resto dell’opera. Infatti partitura e gesto non riescono a trovare un equilibrio comune. Ancor più nel secondo atto in cui non solo la violenza aperta, ma neppure la tensione emotiva trova un corrispettivo sonoro che possa delinearne a perfezione gli esiti tragici.
Di contro (va riconosciuto!) alcuni momenti traggono giovamento da questa interpretazione, fra tutti il duetto tra Scarpia e Tosca in S. Andrea della Valle, che offre alla protagonista frasi di uno struggimento doloroso davvero belle, e il successivo Te Deum che acquista maggiore solennità.
Nel cast vocale spicca il Barone Scarpia, incarnato mirabilmente da Roberto Frontali. Non solo per il superbo timbro baritonale, né per il fraseggio accurato e sempre corretto (un fraseggio da far invidia persino a Montale!), ma per una interpretazione où tout se tient perfettamente in equilibrio.
Carmen Giannattasio è una Floria Tosca che non si risparmia, compie il suo dovere scenico e musicale, con correttezza e una distinta eleganza – fin dove le improbabili calzature glielo permettono – ma che non si spinge emotivamente oltre una compostezza esecutiva che non concede nulla al brivido, neppure in occasione dei tanto famigerati “do” del ruolo, belli ma mai “drammatici”.
Mentre il Mario Cavaradossi di Saimir Pirgu possiede acuti squillanti (con qualche incertezza nel duetto finale che non passa inosservata, purtroppo), ma nel complesso appare distratto. Non si abbandona né alla melodia, se non in qualche rara occasione, né alla scena, da cui sembra ancora più distante.
Peccato per il poco incisivo Angelotti di Vladimir Sazdovski, che sembrava promettere di più, sulle prime, nonostante la piccola parte e, va detto, l’infelice resa dell’amplificazione che non lo favorisce.
Tradizionale, ma senza eccessi gigioneschi, il Sagrestano di Domenico Colaianni che fa il suo meglio in ogni intervento, mentre meno entusiasmante risulta Saverio Fiore nelle vesti di Spoletta, corretto e nulla più. Maurizio Cascianelli spicca più per il physique du rôle di Sciarrone che per il timbro vocale.
Tosca
Musica di Giacomo Puccini
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
DIRETTORE
Antonino Fogliani
REGIA
Francesco Micheli
MAESTRO DEL CORO CIRO VISCO
PROGETTO SCENOGRAFICO MASSIMILIANO E DORIANA FUKSAS
COSTUMI GIADA MASI
VIDEO LUCA SCARZELLA, MICHELE INNOCENTE, MATTEO CASTIGLIONI
MOVIMENTI COREOGRAFICI MATTIA AGATIELLO
LUCI ALESSANDRO CARLETTI
DRAMMATURGIA ALBERTO MATTIOLI
PERSONAGGI E INTERPRETI
TOSCA CARMEN GIANNATTASIO / SONYA YONCHEVA 24, 31 LUGLIO
MARIO CAVARADOSSI SAIMIR PIRGU / VITTORIO GRIGOLO 24, 31 LUGLIO / ARSEN SOGHOMONYAN 3, 7, 9 AGOSTO
BARONE SCARPIA CLAUDIO SGURA / ROBERTO FRONTALI 17, 24, 26, 31 LUGLIO
IL SAGRESTANO DOMENICO COLAIANNI
SPOLETTA SAVERIO FIORE
ANGELOTTI VLADIMIR SAZDOVSKI
SCIARRONE DANIELE MASSIMI / MAURIZIO CASCIANELLI 17, 26 luglio e 3, 9 agosto
UN CARCERIERE FABIO TINALLI / ALESSANDRO FABBRI 17, 26 luglio e 3, 9 agosto
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
CON LA PARTECIPAZIONE DELLA SCUOLA DI CANTO CORALE
NUOVO ALLESTIMENTO
Foto: Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma