“Parthenope”, la riflessione sul tempo di Sorrentino

25 Ottobre 2024

Parlare di “Parthenope”, l’ultimo film di Paolo Sorrentino, al cinema, di nuovo, da ieri, è, per me, un po’ complicato.
Forse le domande che si potrebbero fare riguardo questa breve premessa sarebbero essenzialmente due e sarebbero domande del tipo “e allora perché ne parli?” e/o “perché complicato?”.

Beh, brevemente, per passare poi direttamente al film in questione: 1)ne parlo perché avendo l’abitudine, la voglia e “un personale dovere” di raccontare i film dal mio punto di vista è giusto non bypassare un’opera di un regista di tale importanza e 2) è complicato, molto complicato, perché è un film che mi è entrato dentro strisciando e mi ha lasciato un’eredità di spossatezza che difficilmente ricordo in relazione a centinaia – forse migliaia – di analoghe esperienze da spettatore.

Comunque, detto questo, e andando direttamente al “prodotto”, mi sento di definire quest’ultima fatica del regista napoletano – fatica che parla di Napoli, mostra Napoli e che, secondo me, È Napoli – come un racconto, una storia, una parabola STANCA.

O se non propriamente STANCA, appesantita.
Appesantita da quella che mi è sembrata una precoce anzianità di Sorrentino che attraverso questo film ci mostra un tracciato che non mi pare – come ho letto in questi mesi di interviste – parli di giovinezza e forza, bellezza e scoperta della vita, quanto della tragica ineluttabilità del tempo che passa senza fare sconti a nessuno

– E d’altronde uno dei personaggi più riusciti della pellicola, un porporato interpretato da un veramente più che bravo Peppe Lanzetta, afferma proprio quanto da me appena riportato –

Parthenope, interpretata da una bravissima Celeste Dalla Porta – peraltro ragazza che in questi mesi di battage giornalistico ha mostrato un’ enorme intelligenza avendo perfettamente compreso il suo ruolo di creatura sorrentiniana – è una ragazza non tanto bella quanto STUPENDA che dalle acque della città del Maschio Angioino comincia la sua esistenza ammaliando tutto e tutti senza, peraltro, neanche dover spingere troppo sul pulsante della propria strabiliante avvenenza.

Sorrentino – gli dei del cinema ce lo proteggano comunque per i suoi fasti passati e, speriamo, futuri – sembra ammorbarci con questa ode alla sensualità e al fascino della ragazza con il risultato, alla fine e ripetendomi, di risultare stucchevole.

O almeno questo è il risultato al quale giunge nell’incontro con la mia sensibilità.

Al netto della solita eccellente maestria tecnica che il Regista Premio Oscar possiede, anche i dialoghi del film, per quanto mi riguarda, sono contraddistinti da un’insolita assenza di verve e originalità risultando, nella somma pura e razionale degli uni sugli altri, privi di sussulti vitali designando una vita – delle vite – che procedono nella gabbia di un’inesorabilità che di pulsante ha soltanto la rassegnazione all’esistenze che siamo stati condannati a vivere.

“Parthenope” è un film claustrofobico in spazi aperti – gli spazi e gli sguardi e i corpi meravigliosi di tutta la bellezza che ci viene mostrata, ma che appare più una superficiale confezione piuttosto che una promessa sostanziale di felicità – ed è un film in cui, probabilmente, esiste un solo barlume di speranza, filtrato dalla fantasia comunque magnifica di Sorrentino, attraverso il personaggio del Professore universitario interpretato dal solito, straordinario, immarcescibile, Silvio Orlando, unico anelito di concretezza in un mondo costantemente contraddistinto da quelle atmosfere allegoriche, visionarie, volutamente decadenti che, a differenza di quanto accade nei lavori precedenti, in questo lavoro non mi sembrano produrre la scintilla che diede vita all’universo.

Questo, ieri, per me è stato “Parthenope”.

Questo, oggi, ho voluto condividere con voi.

In ogni caso buona visione e buon cinema.

Come sempre e per sempre.

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