‘Art for art’s sake’: il mondo inclusivo di Grand Theft Hamlet di Sam Crane e Pinny Grylls

22 Ottobre 2024

Era il film che aspettavo con più impazienza del Roma Cinema Festival, un mondo virtuale e futuristico come palcoscenico di una drammaturgia di più di 400 anni. Grand Theft Hamlet è la risposta al quesito: “Qual è il fine dell’arte?”.

Wittgenstein avrebbe affermato che l’arte è qualcosa di indefinibile, eppure io credo che l’arte sia definibile entro i confini dell’interpretazione. Il fine dell’arte è l’arte stessa e l’arte trova sempre un modo per affermarsi, anche quando apparentemente non c’è spazio per lei.

Sam (Sam Crane) e Mark (Mark Oosterveen) sono due attori. Siamo in Inghilterra durante il secondo lockdown. Il mondo dello spettacolo è uno dei settori più in crisi poiché l’arte è condivisione, l’arte si fa con gli altri. I due passano le giornate rifugiandosi nell’universo di Grand Theft Auto, dove non ci sono restrizioni alcune, dove si può andare dove si vuole, senza regole e imposizioni. Da qui l’idea: mettere in scena, all’interno del videogioco, l’Amleto di Shakespeare.

Il risultato è un ibrido tra sessioni di gaming e un docu-film in cui persone reali, amanti del teatro e di Shakespeare, uniscono gli intenti per sopravvivere alla solitudine della reclusione. Per l’intera durata della proiezione mi sono domandata quanto fosse similare l’universo virtuale a quello cinematografico. Uno spazio definito solo da barriere che possiamo decidere, in cui possiamo essere chi vogliamo e quando vogliamo, dove niente è reale, ma tutto è potenzialmente vero. Uno spazio in cui può accedere chiunque lo voglia davvero, chiunque sia pronto a mettersi “in gioco” per difendere il teatro e farlo vivere.

Perché l’Amleto? Perché Amleto è la tragedia della violenza, psicologica e fisica, dove tutti muoiono senza un motivo reale. Dove la risposta è uccidere per affermarsi, per il gusto di farlo, per sentirsi invincibili e potenti ed è esattamente quello che accade nei videogiochi: non si sa bene per quale motivo, ma alla fine tutti finiscono per spararsi a vicenda. Ma Amleto è anche il dramma del dubbio. Essere o non essere? Esistere o non esistere? Se lo chiede Amleto, ma se lo domandano anche Sam e Mark. Se non lavoriamo, esistiamo davvero? È il dramma che per un periodo troppo lungo hanno vissuto i lavoratori dello spettacolo: provini online, recitare soffocati dalle mascherine, opportunità che svaniscono, delusioni che crescono, porte che si chiudono.

Quello che cattura è l’intromissione del racconto di vita vera all’interno del videogioco. A comunicare sono persone, talvolta fisicamente lontanissime, ma che in quei momenti sono lì, insieme, a parlare di sé e di come stanno affrontando le cose. C’è spazio per i drammi familiari (difficoltà di fare coming-out come transessuale/ problemi di coppia), per chi vuole portare una visione religiosa differente e recitare una sequenza del corano, c’è spazio per tutti e giudizio per nessuno. C’è spazio per ammettere che la solitudine esiste, che molte persone sono state costrette dagli eventi a passare tempo sole con i propri pensieri, talvolta negativi, a faccia a faccia con la realtà che il mondo sarebbe cambiato e chissà come ci avrebbe riaccolto una volta finito questo periodo.

Grand Theft Hamlet è con ogni probabilità la cosa più folle, divertente e coraggiosa a cui abbia assistito. A colpire è la geniale idea anche solo di pensare di poter realizzare una cosa simile, ma la vera vittoria è riuscire ad attuarla, dimostrando che la volontà e il piacere di fare arte alla fine vince, nonostante le difficoltà, su tutto.

Regia e Sceneggiatura: Pinny Grylls Amleto: Sam Crane Polonio: Mark Oosterveen Orazio: Jen Cohn Ofelia: Tilly Steele Gertrude: Lizzie Wofford Laerte: Dipo Ola Fantasma: Jeremiah O’Connor Claudio: Gareth Turkington Rosencrantz: Sam Forster

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