Querido Trópico di Ana Endara Mislov

20 Ottobre 2024

Delicatezza è la parola che racchiude l’essenza di questo film. Profondità è dove possono arrivare i silenzi. Poesia è il senso assoluto delle cose. Querido Trópico è tutto questo: delicato, profondo e poetico. Parlarne mi fa tornare in mente Perfect Days di Wim Wenders, con il quale condivide la potenza delle pause e la bellezza della narrazione, dimostrando ancora una volta che il cinema non ha bisogno di mezzi incredibili per essere incredibile, bastano cose semplici e dirette dette nel modo giusto.

In questo tango tutto a due seguiamo la storia di Ana Maria (Jenny Navarrete), una donna che per evitare di essere rimandata al paese di origine (Colombia) escogita lo stratagemma di fingersi incinta affinché qualcuno, mostrandole pietà, possa offrirle un lavoro trattenendola a Panama. Viene difatti assunta per badare a tempo pieno a Mercedes (Paulina Garcia), una signora all’apparenza dispettosa affetta da demenza avanzata. Ben presto e senza accorgersene le due finiranno per legarsi in un rapporto intimo e autentico.

Endara concede alla vecchiaia una dignità reale, nonostante la malattia Mercedes non perde mai la dignità, anche nell’atteggiarsi come una bambina, c’è sempre uno sguardo fieramente rispettoso nei suoi confronti, sia da parte degli altri personaggi sia da parte dello spettatore stesso. Lo stesso sguardo lo riserviamo ad Ana Maria. Non c’è alcun giudizio nei confronti delle sue azioni, ma soltanto una grande tenerezza.

La cifra stilistica è molto interessante poiché il film procede per sottrazione. Paulina Garcia fa un lavoro attoriale minuzioso colmando l’assenza di parola con intensità di sguardi e pensieri permettendoci in qualsiasi occasione di leggere il pensiero di Mercedes tra le righe. I concetti vengono esposti eppure mai reiterati, l’importanza sta nella percezione delle cose. Sappiamo che Ana Maria ha perso un bambino, il film offre un’interpretazione dell’aborto quasi fiabesca e se consideriamo che emerge come frutto del pensiero di Mercedes, la sequenza assume un significato piuttosto notevole. Mercedes sta tornando bambina, la demenza la riporta indietro negli anni, si fa piccola e indifesa, parla per immagini, ma il suo pensiero è perfettamente logico. Maternità può significare molte cose, si può essere materne senza essere per forza madri. È la cura per l’altro che ti riempie, non una pancia (in questo caso finta). Il rapporto tra le due assume forme sempre diverse, eppure sempre autenticamente plausibile: sono madre e figlia, ma allo stesso tempo figlia e madre, sono sorelle e amiche.

Lavorando molto per immagini il film si nutre di silenzi, riempiti talvolta dai rumori della cornice tropicale che è il giardino che Mercedes cura con estrema dedizione. Il giardino assume il significato traslato di spazio idilliaco in cui le due donne imparano a conoscersi e a riconoscersi nell’isolamento indirettamente imposto alle loro circostanze: immigrata, senza figli e marito una, malata e anziana l’altra. Come due uccelli in gabbia si tengono la mano regalandoci risate gentili e sorrisi agrodolci.

La posta in gioco è molto piccola, ma se è vero che alle volte le intenzioni procedono in proporzioni inverse, piccolo non necessariamente significa “poco”, anzi, in questo caso significa tutto.

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