“Iddu – L’ultimo padrino” è il ritratto di un’Italia complice nella (ridicola) cattura del secolo.

14 Ottobre 2024

Parlare di malavita non è facile perché puntualmente si finisce per patteggiare con il nemico: gli ultimi successi cinematografici di film e serie tv come Gomorra o Suburra ne sono un esempio. Fabio Grassadonia e Antonio Piazza non hanno mai avuto in mente quest’idea. Il loro intento, con Iddu – L’ultimo padrino, presentato alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia e nelle sale dal 10 ottobre, era quello di restituire al pubblico il ritratto intimo di uno dei boss latitanti più ricercati al mondo ovvero Matteo Messina Denaro.

Il film inizia con una dichiarazione: «Liberamente ispirato a fatti accaduti. I personaggi che vi compaiono sono frutto però della fantasia degli autori. La realtà è un punto di partenza, non una destinazione.» Da qui, echeggia un canto in dialetto siciliano e l’inquadratura si stacca dallo sfondo nero, mostrando un deposito con un pastore e il suo gregge, sullo sfondo un letto d’ospedale con un uomo in fin di vita e al suo fianco un medico e suo figlio. La melodia si fa più concitata, l’inquadratura si stringe su una lente di un paio di occhiali da sole e si apre un ricordo lontano: un campo disperso nelle campagne siciliane. Un padre, tre figli, una pecora ed un coltello: il futuro si scriverà in quel momento e con un solo gesto.

Sicilia ad inizio anni 2000: Catello (Toni Servillo) ex sindaco e preside, ha trascorso i suoi ultimi otto anni di vita in un carcere a Como. All’uscita troverà l’ingenuo Pino (Giuseppe Tantillo), il bidello della sua ex scuola, incaricato di riportarlo in Sicilia, dove lo attendono una casa che non è quella che aveva lasciato anni prima, un’inacidita moglie (Betti Pedrazzi) e sua figlia incinta di Pino. La vita decadente dell’ex Sindaco («Non sei più preside, Catello! Così come non sei più sindaco, né assessore, né tantomeno consigliere comunale. […] Non sei più niente, solo un ex!») all’interno di un appartamento fatiscente, cupo e squallido ed in cui non sembra esserci riscatto, trova una chiave di svolta con l’arrivo dei Servizi Segreti che, da intercettazioni effettuate nel corso degli anni, sono certi che l’ex detenuto può condurli verso uno dei boss latitanti più ricercati: Matteo Messina Denaro. Da questo momento in poi, la vita di Catello tornerà ad intrecciarsi con quella della famiglia Messina Denaro attraverso un fitto scambi di pizzini che lo allontaneranno sempre di più dall’ispettore Emilio Schiavon (Fausto Russo Alesi) per avvicinarsi, impaurito, ad un’astuta ed arguta ispettrice Rita Mancuso (Daniela Marra): chiave di svolta di una narrazione che non vedrà mai il suo completo dissolversi, rimanendo incastrato in un’intricata rete che tiene sempre più saldi i remi di un’intera regione.

Gassadonia e Piazza offrono allo spettatore una Sicilia cupa e sterile, raramente assolata e desolata. Nel suo essere un film drammatico dalla durata di 130 minuti, le scene di Catello rendono il film leggero e divertente, dandogli i toni di una commedia (senza distaccarsi mai da un’atmosfera tesa): questo permette di creare quasi una divisione narrativa in cui le scene del preside si contrappongono a quelle più cupe del boss; alcune scene infine, risultano confuse a causa del labile confine tra la dimensione onirica e la realtà.

Un boss non violento ma un uomo, quello egregiamente interpretato da Elio Germano, con il quale risulta difficile non empatizzare; una persona estremamente narcisista e completamente sola quasi mosso da sentimenti pentimento. Questo emerge in un dialogo con Lucia Russo, interpretata da un’austera Barbora Bobulova in cui i due citano un passaggio della Bibbia tratto dal libro di Qoelet (4,1-3): «Perciò ho stimato i morti, che sono già morti, più felici dei vivi, che sono vivi tuttora; più felice degli uni e degli altri è colui che non è ancora venuto all’esistenza, e non ha ancora visto le azioni malvagie che si commettono sotto il sole.» Quasi alla ricerca di una redenzione, in questa scena Denaro afferma che non ha mai voluto incontrare suo figlio per non dargli le redini di un futuro che, così come per lui, è stato già stato segnato dalla tenera età. Alla luce anche di questa riflessione, il titolo “Iddu” è fortemente evocativo perché rappresenta il senso di onnipotenza e di venerazione rivestito da quest’uomo che vive costantemente nell’ombra, all’oscuro della vita, circondato da esistenze delle quali lui stesso ne muove i fili attraverso pizzini che permettono di tenere vivi i suoi loschi affari. Venerazione suggerita anche dal quadro appeso nella casa della sua famiglia – in cui è rappresentato con una corona in testa – e un murales che si scorge in uno dei primi fotogrammi del film, nel dettaglio durante il funerale del padre del boss, in cui si scorge il volto del boss con la frase “Iddu c’è”: un po’ come l’essenza stessa di un Dio, intangibile nella sua presenza ma pur sempre onnipresente.

Goffo ed ironico invece Catello, il personaggio interpretato da Toni Servillo, che si mostra agli occhi dello spettatore come una vera e propria maschera, a tratti vile a tratti inetto. A giocare un ruolo importante in questa personificazione, i temi musicali curati da Colapesce che riescono a trasmettere due percezioni completamente diverse: all’atmosfera più cupa che circonda il personaggio di Matteo, creando un sottofondo musicale che resta sempre sul sottile filo della tensione, si contrappone uno più leggero e beffardo per la figura dell’ex Preside.

Presentato a Roma il giorno di uscita, Banquo ha partecipato all’incontro al cinema Greenwich con i registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza insieme ad una parte del cast composta da Toni Servillo, Barbora Bovulova, Daniela Marra, Betti Pedrazzi, Giuseppe Tantillo e il cantante Colapesce, autore della colonna sonora (che avrà un approfondimento a parte, nda) vincitrice del Soundtrack Stars Awards 2024.

Nel dettaglio Grassadonia e Piazza hanno dichiarato che il lavoro è iniziato due anni prima della cattura di Denaro, prendendo spunto da un carteggio tra il boss latitante e l’ex sindaco del suo paese, ipotizzando ci fosse lo zampino dei servizi segreti che muovevano le redini di questo carteggio. Una cattura ridicola, così come ridicolo, afferma Antonio Piazza, che per anni Messina Denaro abbia abitato accanto ad una caserma dei carabinieri: «la realtà è che intorno a questo uomo si sono consumate molte cose, ci si è nutriti di questa latitanza, questa latitanza serviva. […] Il ridicolo entra dalla lettura dei pizzini: noi abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto circa due anni (anche di più) dell’arresto.» Dalla lettura di questi messaggi, dichiara ancora Piazza, emerge la figura di un uomo estremamente narcisista e assiduo lettore «a causa delle sue frequentazioni borghesi e poi emergeva il mondo della sua famiglia […]: era un mondo ridicolo e grottesco! E quindi: il ridicolo e il grottesco entrano nel film e il tragico si risolve nel ridicolo e viceversa.» Infine Fabio Grassadonia dichiara che la famiglia Messina Denaro è stata il precursore del parco archeologico di Selinunte perché hanno depredato e venduto alcuni ritrovamenti, come il caso del “Pupo” (Efebo) raccontato nel film.

Toni Servillo ha invece descritto così il suo personaggio: «L’intenzione che credo di aver colto quando ho letto la sceneggiatura è che Fabio e Antonio volevano avvicinarsi il più possibile a questo mondo, coglierne tanti aspetti, tra cui quella miserabile ridicolagine. […] Il mio personaggio è un pulcinella, un saltimbanco, una maschera che fa ricorso al suo repertorio a seconda delle circostanze in cui si trova, circoscrivendo un palcoscenico sul quale recita.[…] E’ molto astuto, molto furbo.» Un personaggio che, continua, non è un mero solo cinematografico ma eco della realtà: «Io ho cercato di dargli questo carattere molto spesso, in modo che il pubblico poi lo intercettasse nella vita, perché di Catelli ce ne sono molti […] che sembrano dei simpaticoni, ma in realtà sono dei furfanti.»

Dall’incertezza di Barbora Bobulova nel rivestire i panni di una siciliana dichiarando che è probabilmente «l’unica donna vincente del film, per il suo modo in cui ospita Messina Denaro», si passa alla forza di Daniela Marra e la sua Rita Mancuso «ossessionata dalla ricerca di “Iddu” che va come un ariete contro qualsiasi ostacolo si frapponga fra lei e la sua cattura», e all’ironia di Elvira (moglie di Catello) interpretata da Betti Pedrazzi che, all’inizio è «vessata da questo “pulcinella” […] e allora piano piano, zitta zitta si vendica». Giuseppe Tantillo invece, nei panni di Pino interpreta un «cretino che in siciliano ha un’accezione particolare, letteraria […] deriva da certi romanzi di Sciascia, Pirandello… Insomma “cretino” è colui che non si rende conto del contesto… Quindi è un incantato! Il gioco è stato andare alla ricerca della tenerezza, un personaggio che doveva portare una tenerezza che, in questo mondo, non c’è.» La parola è passata infine a Lorenzo Urciullo (Colapesce) che ha brevemente descritto il suo lavoro di composizione: «volevo evitare di mitizzare Matteo e quindi non ho lavorato su una parte tematica, ho lavorato molto sull’assenza, sulle pause […], invece sul personaggio di Catello ho lavorato proprio sul tema, come si faceva una volta.»

Più che un film, Iddu – L’ultimo padrino di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza è una vera riflessione su una pagina di storia che forse poteva essere scritta già anni fa, un film la cui conclusione mostra il volto di un’Italia che si è (probabilmente) mostrata sempre complice di questa latitanza.

Il cast di “Iddu – L’ultimo padrino”. Dalla sx: Antonio Piazza, Fabio Grassadonia, Barbora Bobulova, Daniela Marra, Toni Servillo, Giuseppe Tantillo, Betti Pedrazzi, Colapesce.
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Roberta Matticola

Se fossi una parola sarei 'errare', grazie al suo duplice significato: "1. a. Andare qua e là senza direzione o meta certa [...] 2. a. Ingannarsi in un’opinione, sbagliare in ciò che si crede o si afferma." (Vocabolario on line Treccani). Ed io sono così: cammino tanto fino a consumare suole e commetto troppi errori.

Tra le poche cose certe, c'è il mio costante bisogno di scrivere di musica, in particolare di quella italiana ed emergente.
Poi rido e canto (... male).
Tanto.
E con il tono troppo alto.

"Il dj da una radio mi dice che fa bene cantare: ma chi ha mai saputo cantare?" - ColapesceDimartino: Considera.

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