Attenberg di Athina Rachel Tsangari

9 Giugno 2024

Si aggiudica la Coppa Volpi per la Miglior Interpretazione Femminile (il premio va ad Ariane Labed nel ruolo della protagonista Marina ) a Venezia 67 Attenberg, film di formazione della regista greca Athina Rachel Tsangari.

Marina è una ragazza atipica di 23 anni, cresciuta in una città industriale della Grecia di cui non è importante conoscere il nome o la collocazione specifica. Le sue uniche interazioni sociali risultano essere quella con suo padre, malato di cancro terminale e con la sua migliore amica Bella. La pellicola traccia il rapporto viscerale e simultaneo tra la decadenza e la morte di un corpo (quello del padre) da un lato e la riscoperta di un’intima interiorità apparentemente soppressa dall’altro.

Il confronto con Kynodontas (titolo originale dell’acclamato Dogtooth di Yorgos Lanthimos uscito un anno prima) risulta inevitabile e non solo per la presenza del regista greco, questa volta nelle vesti di attore, nella pellicola in questione, quanto piuttosto per un certo legame nei contenuti e nei paesaggi. Una Grecia spoglia ed essenziale è lo sfondo di ambienti altrettanto scevri abitati solo da pochi personaggi. Una figura maschile paterna che sembra tenere ingabbiata quella femminile, anche se in misure differenti (in Dogtooth l’ombra del padre risulta molto più pesante sulla vita dei tre figli), la presenza di una figura femminile emancipata che funziona da contraltare e rappresenta l’input per una presa di coscienza, il rimando alla natura animale dell’uomo. Questo ultimo elemento è ampiamente sviluppato all’interno della pellicola della regista greca anche grazie al paragone costante con i filmati del divulgatore scientifico britannico David Attenborough (di cui Bella sbaglia sempre il nome chiamandolo “Attenberg” da cui il titolo del film). Per gli Antichi infatti, tutto era vivo e tutto prendeva avvio da un comune principio di vita e di movimento chiamato dai greci psyche e tradotto comunemente con “anima”. Cosa distingue allora gli esseri umani dagli animali? L’utilizzo della ragione, la consapevolezza della ragione. Facciamo però attenzione, perché per Aristotele, l’essere umano non sarebbe altro che un “animale razionale”, non quindi “un essere razionale”, lo definisce proprio “animale” ed è proprio questo animale che Lanthimos prima e Tsangari poi ricercano.

Il film si apre su un muro bianco, tenuto per diversi secondi, simbolo di candore e di innocenza eppure “sporcato” da un goffo intreccio di lingue. Bella insegna a Marina come dare un bacio, un gesto banale che la seconda però non ha mai sperimentato e che infatti trova vomitevole perché “tutto bavoso”. La prima metà del film si gioca sui tentativi di Bella appunto di istruire l’amica all’arte della sessualità schiantandosi però proprio sul muro del ripudio da parte di Marina. Più volte Marina definisce Bella “puttana” lasciando immaginare tra le righe quella bolla di tabù in cui è cresciuta e maturata. Facendo un balzo in avanti di 13 anni e riflettendo a posteriori sul capolavoro firmato proprio Lanthimos Poor Things, pare interessante che il regista abbia chiamato la sua eroina per l’appunto Bella e che la stessa venga richiamata con l’appellativo “puttana”. Che il regista greco abbia visto in Bella di Attenberg un po’ della sua Bella? O che la sua Bella debba in parte qualcosa alla Bella di Tsangari? Mi piace pensare di si ;).

Due i personaggi femminili, due quelli maschili. L’ingegnere che Marina incontra per caso e con cui instaura una relazione col fine di mettere in atto gli insegnamenti di Bella, ma al quale sembra affezionarsi davvero e suo padre Spyros. Ci viene presentato già nella malattia, mai specificata anche se presumibilmente si tratta di cancro e probabilmente alle ossa. In merito a questo è da segnalare la scena in spiaggia che precede di pochi minuti quella a parer mio più significativa del film. Marina e Spyros sono in spiaggia, distesi al sole e vengono raggiunti da Bella. La scena è muta, riempita solo dalle azioni di Bella che preme con i piedi prima sulla schiena e poi sulle mani di Spyros come a spingere fuori qualcosa. Pochi minuti dopo (nel tempo filmico) vediamo proprio Marina compiere il movimento opposto, come se attraverso le scapole volesse far entrare qualcosa all’interno del suo corpo. Quale potrebbe essere la spiegazione di questi gesti contrari che al tempo stesso si compensano? Anche in questo caso la lingua greca potrebbe venire in nostro aiuto. Il nome Spyros infatti contiene la radice “pyr” che in greco significa “fuoco”, quel fuoco che si sta spegnendo nel corpo del padre si sta con ogni probabilità rigenerando nel corpo della figlia che finalmente sembra voler accogliere.

L’accettazione della propria sessualità è il veicolo attraverso il quale Marina riesce ad accompagnare suo padre verso la fine, anzi, il veicolo necessario sembrerebbe. Una bambina di 23 anni che non sa che cosa sia lo sperma, ma che lo rivede nel gel denso che esce dalla pianta di aloe che taglia, una bambina cresciuta senza una figura materna che le tenesse la mano e che deve diventare donna pur avendo paura delle Donne. Il mondo ci chiede di crescere, ma se non voglio farlo? Potrei forse provare sputandogli addosso, fuori dalla finestra…Stacco. Piove. Chissà quanta gente starà sputando fuori dalla finestra ora…

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