Il teatro è uno specchio spietato dove ci riflettiamo tutti: intervista a Manuela Kustermann

21 Giugno 2024

di Emiliano Metalli

Nonostante la progressiva chiusura dei teatri storici e le mutate abitudini socio-culturali del pubblico, il Teatro Vascello (R)esiste e si staglia nel panorama teatrale romano come un unicum eccezionale.

Possiede le caratteristiche polifunzionali di uno spazio internazionale – come i prestigiosi teatri off londinesi o newyorkesi – di cui ricalca la vocazione culturale di ampio respiro, ha il sostegno di una platea vigile e preparata ad accoglierne le proposte artistiche e vanta una storia produttiva che quest’anno tocca i 50 anni di attività e che, pur mantenendosi innovativa, è di fatto tradizione e stabilità.

La stagione 2024-25 include eccellenze in ogni campo, dai testi classici alla contemporaneità, senza escludere danza, musica e arti performative: ne ascoltiamo la gestazione dalle parole stesse della direttrice artistica Manuela Kustermann.

Il claim della stagione 2024-25 del Teatro Vascello è “Tutto questo, in sostanza e verità, non è nient’altro che un gioco.” Si tratta di una scelta volutamente provocatoria?

Del termine “provocazione” ne ho abusato in gioventù. Oggi è più il tempo della riflessione, un tentativo di sintesi, una testimonianza e, se vogliamo, un lascito.

Il teatro come gioco è quello che esce da certi schemi di favoritismo politico-produttivo?

Il potere in quanto tale è una cosa seria e va rispettato. A me comunque preme solo il potere del teatro.

Gli spettacoli in cartellone sono numerosi e di grande qualità: come è possibile oggi conciliare il livello artistico con la rapidità del “consumo”?

Bella domanda che ha una sola risposta: tentare di produrre o offrire spettacoli che abbiano la capacità di mandare in risonanza, magari sono per un po’, le coscienze. So già che non ci riusciranno tutti, ma il mio ruolo è quello di garantire almeno un tentativo senza riserve.

La voracità del pubblico attuale è un limite per la Cultura?

Intanto il “pubblico” è disomogeneo. Per quanto riguarda il pubblico del mio teatro, mi sento di affermare che si tratti di un pubblico ponderato, quindi in grado di assorbire cultura, se di cultura si tratta.

Cosa ha cambiato i tempi di produzione e distribuzione in questi anni?

Siamo costretti tra l’incudine e il martello: da un lato, in ragione dei nuovi criteri dettati dal Ministero siamo indotti ad un sovraccarico di produzioni, dall’altro la distribuzione soffre di un mercato asfittico e sempre più chiuso e questo è un vero problema.

Nel panorama romano, rispetto a vent’anni fa, il Teatro Vascello è rimasto un baluardo di resistenza artistica di qualità, in confronto ad altri spazi che non esistono più: qual è il segreto di questo successo?

Una autonomia di gestione, una idea di responsabilità un po’ all’antica e forse una storia personale.

Quest’anno festeggiate anche i 50 anni della nascita della vostra compagnia la Cooperativa “La Fabbrica dell’attore” con uno spettacolo dal titolo “50 anni di (R)esistenza”. Sarà una immersione totale nelle atmosfere esplosive a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.

Questa operazione non è solo una commemorazione, ma anche uno scavo nel ricordo e nella memoria. Cosa non rimpiange di quegli anni? Cosa ha portato fino ad oggi?

Non rimpiango niente, perché come diceva Poussin non ho trascurato niente.

Lo spirito di innovazione che attraverso la sua direzione aritstica porta avanti questo teatro è lo stesso o negli anni è sceso a compromessi, ha mutato pelle?

Non ha mutato pelle perché la passione per la ricerca è la stessa di un tempo. Per quanto riguarda invece i “compromessi”, essi hanno a che fare con il senso della realtà, con il realismo, quello che insegnavano le nostre nonne. La mia peraltro era tedesca.

Cosa vorrebbe trasmettere alle nuove generazioni attraverso le sue scelte?

L’idea che il teatro è una cosa molto molto seria.

Quale rinuncia non farebbe nella definizione di una nuova stagione?

Non rinuncerei alla mia autonomia di giudizio.

Qual è il compito più difficile per una direzione artistica?

Fare scouting di qualità.

Qual è il valore della conservazione – anche fisica e non solo mnemonica – in un luogo come il teatro?

Dicono che l’apprendimento avvenga attraverso tre indotti primari: visivo, uditivo e cinetico. Il teatro, come già scoprirono i Greci, ne è perfetta sintesi. Questo per dire che della manifestazione teatrale si conserva tutto. Io per esempio mi ricordo tutto: i movimenti degli attori, le loro voci, le scene dello spettacolo.

È alta la presenza delle donne nella nuova stagione: oltre a Lei, ci sarà Francesca Benedetti, Lisa Ferlazzo Natoli, Emma Dante, Daria De Florian, Fabiana Iacozzilli, Giorgina Pi, Eleonora Danco, Licia Lanera, Mariangela D’Abbraccio, Martina Badiluzzi, Cristiana Morganti, Lucia Mascino, Flavia Mastrella, Valentina Picello, Petra Valentini, Arianna Pozzoli, Monica Demuru, Gaia Insenga, Monica Piseddu, Serena Sinigaglia, Francesca Mazza, Orietta Notari, Paola Giannini, Fabiana Ruiz Diaz, Alice Arcuri, Francesca Farcomeni, Giusi Merli, Tania Garribba, Caterina Carpio, Frederique Loliée, Francesca della Monica, Cristina Crippa, Carlotta Viscovo, Alice Giroldini, Antonella Morea. Un caso o una scelta? (la domanda è volutamente provocatoria). E nel secondo caso, si tratta di una scelta di marketing o piuttosto di protesta?

Né di marketing né di protesta, è un accadimento. La presenza femminile si impone per qualità, in tutti i campi. Tutto qui. E noi, quest’anno in particolare, proviamo a celebrarla.

Che significato assume il “genere” nel suo mondo artistico?

Irrilevante. Ripeto, governa la qualità.

È mai stata esclusa o sottovalutata in quanto donna, in uno dei ruoli che ha ricoperto (attrice, regista, produttrice, direttrice artistica…)?

No, non mi è mai successo.

Il progetto sei donne – una sorta di teatro seriale su figure femminili – con Mariangela D’Abbraccio e Lei, come nasce?

Nasce da una idea della mia cara amica Mariangela, alla quale ho aderito con entusiasmo.

Il fronte del teatro omosessuale è altrettanto rappresentato: Testori, Wilde, Tondelli, Koltes. Scelte di classe che quasi – sottolineo quasi – fuoriescono dall’etichetta di un teatro dichiaratamente LGBT+ per autodichiararsi opere drammatiche universali. Eppure in qualche modo segnano una scelta: si tratta anche qui di una precisa volontà o di una questione di mercato?

Si tratta semplicemente che Testori, Wilde, Tondelli e Koltes sono persone geniali. Tutto qui.

Non mancano, nella stagione 2024-25 del Teatro Vascello, testi più classici, in buon equilibrio rispetto alla contemporaneità che pure è la vostra nota distintiva, reinterpretati da quanto di meglio c’è oggi nel mondo della nuova regia e dei nuovi linguaggi: Leonardo Lidi, Andrea De Rosa, Carmelo Rifici, Leonardo Manzan, Rocco Placidi, Emma Dante, Elio De Capitàni.

Però non manca appunto la drammaturgia contemporanea con testi di Rosalinda Conti, Han Kang, Linda Dalisi, Fabrizio Sinisi, Eleonora Danco con un suo inedito, Gabriele Di Luca, Monica Dolan, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Ingmar Bergman, e una curiosità di Neil Simon con un testo inedito messo in scena da Massimiliano Civica oltre a un intrigante testo pieno di simbologie di Bergman per la regia di Alfonso Postiglione.

Tuttavia, visti i nomi di regia e interpreti, nulla fa pensare ad allestimenti di tipo classico. Siete, in questo, un esempio unico di come il teatro possa rinnovarsi, pur mantenendosi fedele alla sua storia. Questo è ancora possibile? La drammaturgia contemporanea arriverà a soppiantare temi e personaggi già noti?

Questo è uno degli aspetti ai quali tengo di più: mantenere la magnificenza del teatro classico dentro la parte migliore della contemporaneità, che non vuol dire certo adeguarlo, ci mancherebbe altro, ma considerare il mondo su cui andrà a proiettarsi. Migliorarne, diciamo così, l’incisività.

Le altre arti, danza, musica e performance, completano la stagione o sono parte fondante delle sue scelte artistiche? In che modo le integrano?

Lo sanno in pochi, ma io nacqui, o per meglio dire tentai all’inizio, la carriera di ballerina. La danza pertanto e il suo corredo sono parte di me.

Il Teatro Vascello è uno spazio polifunzionale (bar, concerti, incontri, presentazioni di libri…): una vocazione o una necessità?

L’ambizione è che il nostro teatro diventi sempre di più un vero palinsesto, e questo, come ha giustamente sottolineato, implica anche una idea polifunzionale dello spazio.

Perché è importante – oggi più che mai – andare a teatro?

Perché il teatro è uno specchio spietato dove ci riflettiamo tutti, piaccia o no. E poiché i tempi attuali sono quelli che sono, dominati da un malessere se non da un vero e proprio dolore, diventa anche un luogo terapeutico. Dopodiché il teatro è stato e rimane una delle grandi centrali educative al servizio dell’umanità e poiché gli altri enti preposti alla stessa funzione non mi pare che se la stiano passando bene, proviamo, almeno noi, a difendere la linea del Piave.

Perché il pubblico deve scegliere il Teatro Vascello?

Perché c’è una idea costitutiva precisa, una fatica e un rigore che credo meritino un apprezzamento.

Tutti i dettagli della stagione 2024-25 sul sito del Teatro Vascello: www.teatrovascello.it

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